Antica: coniglio all’ischitana
Un'armonia di sapori millenaria nata per pochi eletti, oggi patrimonio culinario dell'isola
"Il coniglio all'ischitana è buono solo a Ischia", mi disse un giorno una napoletana. Può essere, ma noi non ci spaventiamo, forti di una ricetta di famiglia che mi diede tanto tempo fa un'ischitana che mi ospitò sull'isola, a Serrara Fontana. Resta il fatto che fare il coniglio all'ischitana è un'arte che sta nella maestria del cuoco, nel cogliere l'esatto punto di cottura prima che la carne indurisca, e nel dosare le aromatiche: il prezzemolo serve infatti oltre che a metterci del suo, anche a "domare" la vivacità di timo e maggiorana. Le grammature vanno dunque calcolate in base al peso del coniglio, alla quantità dei pomodori e all'intensità di ogni aromatica facendo sì che una non prevalga sull'altra. Il pomodoro deve solo colorire leggermente, e ne va messo un po' di più se con l'intingolo condiremo la pasta (rigorosamente bucatini). Un "concerto" di sapori che solo la sensibilità di chi cucina può dirigere...
Tempo di cottura: almeno 1 ora piena e qualche manciata di minuti oltre
Porzioni: 4
Ingredienti: Coniglio max 1 chilo e mezzo di peso – Aglio, 2 spicchi interi senza buccia – Pomodorini (possibilmente del piennolo, altrimenti datterini o ciliegini), 200 g – Buon vino bianco asciutto, mezzo bicchiere – Prezzemolo fresco qb – Timo fresco non limonato qb – Maggiorana fresca qb – Sale, quanto basta – Olio evo qb – Peperoncino se piace
Occorrente: pentola di coccio con coperchio
Fase 1
Tagliamo il coniglio in grossi pezzi (la tradizione, vedi in basso, ne detterebbe dieci). Laviamoli in abbondante acqua corrente, lasciamoli scolare ed asciughiamoli con un canovaccio da cucina. Dosiamo il vino, e tagliamo a metà o in più parti i pomodorini
Asciughiamo il coniglio a pezzi con un canovaccio da cucina |
Fase 2
Versiamo l'olio nella pentola di terracotta e facciamolo scaldare. Aggiungiamo i pezzi di coniglio, e l'aglio svestito lasciato intero. A fuoco dolce giriamo e rigiriamo i pezzi per rosolarli, cercando di non bruciare l'aglio. Quindi sfumiamo col vino; eliminiamo l'aglio
Rosoliamo a fuoco dolce, girando ogni tanto fino a doratura. Sfumiamo col vino e togliamo l'aglio |
Fase 3
Lasciamo evaporare il vino, quindi saliamo, e aggiungiamo i pomodorini. Mescoliamo, lasciamo appassire per pochi minuti quindi aggiungiamo un po' d'acqua calda. Incoperchiamo e cuociamo a fuoco dolce, badando di aggiungere ancora poca acqua se serve: il fondo dovrà sempre restare morbido e le carni mai secche. Rigiriamo i pezzi ogni tanto
Il vino è evaporato. Saliamo ed aggiungiamo i pomodorini. Lasciamoli ammorbidire ed aggiungiamo poca acqua calda |
Fase 4
Mentre il coniglio cuoce sfogliamo le aromatiche: ovvero prezzemolo, timo e maggiorana. Tritiamole finemente con la mezzaluna. Intanto controlliamo che il coniglio non superi il punto di cottura, dopodiché diventa irrimediabilmente stopposo. Una decina di minuti prima di spegnere la fiamma, togliamo il coperchio ed aggiungiamo il trito di aromatiche. Mescoliamo e ultimiamo la cottura senza coperchio facendo eventualmente restringere il sughetto ma badando che il fondo non asciughi troppo.
Dopodiché possiamo servire il nostro coniglio davvero speciale. E se resisteremo alla tentazione di tuffarci del pane, con l'intingolo rimasto nella pentola, il giorno dopo potremo condire la pasta, rigorosamente bucatini secondo tradizione (ma anche ziti spezzati sono concessi), spolverati di abbondante parmigiano grattugiato.
A dieci minuti da fine cottura, aggiungiamo le aromatiche tritate finemente con la mezzaluna |
Note
– La tradizione più rigorosa, tra le aromatiche, insieme a prezzemolo e maggiorana, vede nello specifico l'impiego del timo serpillo, detto anche timo selvatico, che localmente viene chiamato "peperna". Una terna di erbe usate per questa ricetta soprattutto nella parte occidentale dell'isola, tra Forio e Serrara Fontana. Mentre gli abitanti della zona orientale (Ischia, Casamicciola, Lacco Ameno e Barano) preferiscono solo prezzemolo, e talvolta anche, o solo, basilico.
Un po' di storia: il coniglio all'ischitana
Una ricetta che pare risalire al 470 a.c., quando i cumani cedettero Ischia a Gerone, il tiranno di Siracusa: immaginate dunque col passare dei secoli quante variazioni ha subito, tra cui l'aggiunta del pomodoro dopo la scoperta dell'America? Una discussione fra partenopei sulla corretta modalità di esecuzione di questa ricetta può diventare più che animata e durare all'infinito. Ognuno dice la sua in fatto di cottura e di ingredienti: una delle ricette più controverse e dibattute proprio per la sua vetustà. Ma che è entrata nella storia dell'isola ed è colonna portante della sua gastronomia più tipica. Che non manca mai nei pasti più importanti di ogni famiglia ischitana.
Tre punti però restano fermi: il coniglio deve essere cotto nel coccio, essere il più casareccio possibile se non selvatico, e non pesare più di un chilo e mezzo-1 chilo e 800 g. Inoltre tradizione vuole che sia sezionato in non più di 10 parti dopo averlo tagliato a metà per il lungo (testa, collo, le due zampe anteriori, le due zampe posteriori e infine 4 pezzi uguali ricavati dal dorso).
Per gli ischitani, lo avrete capito, il coniglio è cosa seria: ai tempi del greco-siracusano Gerone, e poi di Alfonso D'Aragona, re di Sicilia e di Napoli, che vi fece erigere il Castello Aragonese, l'sola era infestata da conigli selvatici e per questo divenne uno dei luoghi di caccia preferiti dal sovrano e dal suo seguito, che affidavano il cacciato ai cuochi di corte. Un piatto dunque che nasceva in un contesto ricco, ma che col passar dei secoli divenne risorsa del popolo d'Ischia, spesso le uniche carni a disposizione delle famiglie contadine, che impararono ad allevar conigli in una buca chiamata "fosso" scavata nel terreno: qui erano lasciati crescere e moltiplicarsi. Gli veniva gettata l’erba per nutrirli e, una volta cresciuti, il contadino si calava nella buca e sceglieva l’animale adatto al pranzo della domenica: era il "coniglio di fosso". Ecco perché tanto accalorarsi: quando si discute della ricetta originale, ogni ischitano, e di riflesso ogni partenopeo ha la sua versione "vera", e nell'asserirlo ci mette il cuore…
Cosa beviamo
Restiamo sul territorio con un viticoltore ischitano: beviamo un bianco Tenuta dei Preti, o un magnifico rosato Rosamonti, entrambi di Cantine Tommasone