Mousse di ricotta, polvere di caffè e Mistrà: tradizionale romana
Il fascino di un dessert di oltre 100 anni fa...
Ormai dimenticata questa ricetta della vecchia Roma. Un dolce al cucchiaio semplicissimo e speciale che sposava la ricotta dell'agro romano alla polvere del caffè fragrante di quelle torrefazioni di cui era ricca la città, e ad uno dei più noti prodotti di un'azienda locale da 150 anni ormai portabandiera del Mistrà (che veniva chiamato anche Varnelli soprattutto nelle Marche). Non c'era bar, una volta, che non servisse il caffè al mistrà, e non c'era casa senza questo liquore all'anice che per gli uomini costituiva la fine del pasto domenicale, e cioé: dolce, frutta, caffé e "ammazzacaffè" (mistrà). Nacque così questo dolce semplice semplice ma tanto amato dai romani e dai laziali, graditissimo alle donne, affatto disdegnato dagli uomini e che sovente si dava anche ai bambini. Un'usanza ormai persa. Un ricordo ormai lontano che val la pena rispolverare, per riscoprire vecchi e semplici sapori...
Porzioni: 4
Ingredienti: ricotta di capra, 600 g; (se di mucca, o pecora, aumentate ad 800); zucchero semolato, 5 cucchiai rasi scarsi; caffè in polvere, se macinato fine 2 cucchiaini da tè colmi; liquore Mistrà, 2 cucchiai; chicchi di caffè per decorare, a piacere
Fase 1
Mescoliamo, o meglio passiamo al setaccio la ricotta, e versiamola in una ciotola.
Mescoliamola energicamente, o setacciamo se è di mucca o di pecora |
Fase 2
Aggiungiamo lo zucchero ed il liquore. Mescoliamo con cura.
Aggiungiamo lo zucchero che potete dosare anche secondo i vostri gusti. Mescoliamo bene |
Fase 3
Uniamo anche la polvere di caffè. Mescoliamo bene per distribuirla.
Quindi la polvere di caffè macinata più o meno fine, della miscela preferita, anche decaffeinato |
Fase 4
Mettiamo il tutto in un contenitore di vetro con coperchio, e lasciamo freddare e risposare in frigorifero per qualche ora, ma è ottima anche appena fatta se la ricotta è appena uscita dal frigo. Buonissima anche il giorno dopo.
Serviamo in coppe decorando con qualche chicco di caffè: in un "cucchiaio" tutto il fascino della Roma di 100 anni fa…
In ultimo, il mistrà. Lasciamo riposare in frigorifero |
Note
Delle dosi diamo solo una traccia, perché ognuno può aggiustarla come crede e mettere più o meno caffè, zucchero o liquore, secondo i propri gusti. Può anche essere usato il decaffeinato per la moka macinato più o meno finemente, o la miscela di caffè che più piace. Ad esempio se la amate più granulosa non fate macinare finemente il caffè.
Noi abbiamo scelto un mix intenso e profumato di 7 arabiche macinato mediamente fine. Ed abbiamo preferito la delicatezza della ricotta di capra. Ma nulla vieta di usare quella di mucca, o di pecora. A voi la scelta. Ma che il liquore sia Mistrà. Perché la Sambuca, è un'altra cosa…
Se usate ricotta di capra non serve setacciarla: è sufficiente mescolarla energicamente con una forchetta.
Il "chi è chi": la ricotta di capra
La ricotta non è un formaggio. Tantomeno quella di capra. Bensì un latticino ottenuto dal siero di latte in questo caso di capra, cioè la parte liquida che si separa dalla cagliata durante la produzione del formaggio caprino, cui vengono aggiunti latte e panna. Questo è il motivo per cui questo tipo di ricotta meglio si presta a certe preparazioni in cucina specialmente dolci, come questa mousse alla polvere di caffé e mistrà.
Ma badate alle "bufale": la ricotta di capra è delicata, di consistenza soffice e spiccatamente "pannosa" seppur magra e digeribile: diffidate da quella che risulti anche solo lontanamente di grana grossolana e gessosa.
Curiosità: il Mistrà
Gusto intenso e aroma forte, il Mistrà racchiude l'essenza di ben sette tipi di anice, e se diluito in acqua fredda e ghiaccio diventa anche un ottimo dissetante. Liquore secco naturale al 100%, è ricavato da un accurato processo di tripla distillazione; è un valido partner in cucina per la preparazione di dolci e biscotti, e favorisce anche la digestione dopo in pasti proprio grazie all'anice. Berlo come "ammazzacaffé" aveva dunque un suo… perché.
La storia: trae le sue origini dalla conquista dell'omonima città (situata a circa 8 km dall'antica Sparta) da parte della Repubblica di Venezia, avvenuta nel 1687 e terminata nel 1715. I veneziani scoprirono l'ouzo e lo portarono in patria, battezzandolo con il nome della città conquistata. Da quel momento il mistrà divenne il liquore per eccellenza della Serenissima. Le dominazioni austriaca e francese segnarono il declino della sua popolarità in Veneto.
Il mistrà, a differenza dell'anisetta e della sambuca (entrambi dal sapore dolce), ha un gusto molto secco che lo rende ideale per correggere il caffè ma può essere bevuto anche liscio. A Venezia era anche bevuto alla maniera dell'ouzo e del pastis francese, mischiato con acqua. Alla fine dell'Ottocento il mistrà venne riscoperto da Girolamo Varnelli, che ne interpretò e perfezionò la ricetta, partendo dall'intenzione di creare un decotto contro la malaria per i pastori transumanti in Maremma, creando il Varnelli, l'Anice Secco Speciale, tipico prodotto marchigiano.
Essendo un liquore di tradizione contadina, normalmente veniva prodotto e consumato in casa; il Varnelli invece fu il primo ad essere commercializzato su vasta scala (tratto in parte da Wikipedia).